D'Annunzio a cinquant'anni dalla morte

-

Centro Nazionale Studi Dannunziani

Atti dell'XI Convegno, 9-14 maggio 1988

Presentazione di Ettore Paratore

Sei giorni di convegno sono un'impresa non trascurabile proporzionata alla straordinaria estensione e alla ricchezza di aspetti e di motivi dell'opera dannunziana. La maggioranza dei critici, restringendo ad Alcyone e al Notturno le opere in cui il Pescarese è assurto veramente alle vette dell'arte, sembra voler accantonare nell'ambito velleitario tutto l'imponente resto della sua produzione. Ma a parte il fatto che, oltre le due opere sopra ricordate, c'è anche da considerare almeno la Figlia di Jorio fra quelle da porre in primo piano, si può dire che non ci sia manifestazione artistica del buon Gabriele che non sollevi un problema e non susciti un intenso dibattito tematico. Mentre nella novellistica giovanile infuria il naturalismo più scalmanato e degradante, la lirica dall'esplosione panica di Canto novo, attraverso le alessandrine raffinatezze di Intermezzo, dell'Isotteo e della Chimera, giunge al tendenzioso crepuscolarismo del Poema paradisiaco. Intanto nella narrativa il Piacere fonda la solida struttura di un romanzo dedito alla pittura di un ambiente che poi, specie sotto l'influsso dei grandi autori russi, scantona verso la raffigurazione di un cupo dramma in Giovanni Episcopo, nell'Innocente e in quel costipato Trionfo della morte, in cui l'orma di Dostoevskij si disposa a quelle di Wagner e di Zola, del quale, a parte i non ben chiari rapporti con Lourdes, è innegabile la presenza nell'impietosa descrizione del pellegrinaggio di Casalbordino.
D'un tratto alla narrativa imperniata sopra una drammatica trama si sostituisce una prosa celebrativa, quella delle Vergini delle rocce e del Fuoco, che del romanzo ha solo l'iniziale schema esteriore, ma che, spingendo alla massima espansione lirica l'aspirazione alle correspondances artistiche già affermatasi nel roman wagnerien finora coltivato dal D'Annunzio, abolisce di fatto la trama e si convelle verso un'esaltazione del superomismo estetizzante, in cui trionfa allo stato puro l'ideologia dell'autore che nel Fuoco adduce ancora una volta l'esempio di Wagner, pur contrapponendogli un ideale latino. Intanto egli si volge alla letteratura drammatica, esercitandosi da principio nel dramma borghese entro il quale però nel primo tentativo della Città morta tenterà d'innestare un richiamo alla tragedia greca. Maturandosi faticosamente nel ricorso ad altri ambienti e nella scelta del testo poetico con la Francesca da Rimini, egli giungerà alla scoperta dell'universale umano e poetico con la Figlia di Jorio, di cui la successiva Fiaccola sotto il moggio preserva la cruda teatralità catastrofica, la ricerca di un dolente approfondimento della condition humaine entro la prospettiva della regione natia, insistendo di nuovo, col fare di Gigliola un doppione dell'Elettra sofoclea, nella ricerca di un rapporto con la tragedia greca. Ma se le due tragedie abruzzesi, specie la prima, segnano un'ascesa al livello di una sicura esperienza drammatica, nel frattempo il poeta, che nel 1896 aveva elaborato una seconda edizione di Canto novo, fa riemergere nelle Laudi l'impetuoso slancio lirico verso la concretezza dell'immagine golosamente assaporata nella sua più appariscente manifestazione; e sono soprattutto le fascinose, insinuanti liriche di Alcyone, che fanno trionfare del D'Annunzio, nel senso critico e nel gusto dei lettori, l'aspetto del sensuoso creatore di belle parvenze, relegando in uno sfondo indistinto le tendenze al tragico affermatesi nei Romanzi della rosa e nelle tragedie.
Subito dopo, Più che l'amore segna un infelice ritorno al dramma borghese, potenziato se mai da una conversione verso il modello di Ibsen; la Nave invece si sfrena nell'ambiziosa ricostruzione di un ambiente remoto colto nella sua più suggestiva sollecitazione fantastica; e con Fedra si arriva finalmente alla sceneggiatura di un tema desunto direttamente dalla tragedia greca. La ripresa delle suggestioni più incalzanti della grande arte del passato riconduce il D'Annunzio al romanzo basato sopra una trama complessa; e con Forse che sì forse che no giungiamo alla maggiore opera prosastica del nostro autore, trascorrente dalla vertigine della corsa automobilistica al tormento intimo della torbida personalità di Vana, dal fosco intreccio dell'incesto alla pazzia di Isabella, dalle umoristiche esibizioni ufficiali della sua registrazione all'epico volo redentore di Paolo; un complesso travolgente di eventi discordanti e paurosamente sovrapponentisi cui dà più ampio riflesso l'abbandono finalmente deciso a una cifra stilistica marcatamente lirica da cui si fa principiare la seconda maniera del D'Annunzio, quella intimista. Di essa poi si ravvisa nel Notturno la seconda, più raccolta e più introspettiva estrinsecazione, anche se i volumi successivi tradiscono una sempre più mortificante discesa verso l'ostentata esibizione. E non parliamo delle concessioni alla letteratura puramente decorativa cui il poeta indulse durante l'esilio francese.
Come si vede, seguire lo svolgimento dell'opera dannunziana significa affrontare una serie di questioni esegetiche e critiche non prive di difficoltà. Per me la più ardua è l'alternativa del D'Annunzio sensuosamente immaginifico al D'Annunzio consapevole della tragicità della vita, che mi sembra tema finora non sufficientemente approfondito. È naturale perciò che oggi, oltre che rievocare sinteticamente il poeta, il narratore, il drammaturgo, l'oratore e uomo d'azione, il memorialista, ci si soffermi attentamente sulle singole opere distribuendole, con buona pace della critica crociana, in base al loro genere letterario. E mi è dolce incontrare di nuovo, fra tanti illustri relatori, amici cari in seguito a rapporti di collaborazione, come Ivanos Ciani, Giorgio Bárberi Squarotti, Paolo Alatri, Emilio Mariano, Simona Costa, Giorgio Prosperi, Emerico Giachery, Pietro Gibellini, Giorgio Petrocchi, Giorgio Cusatelli, Luigi Testaferrata, Riccardo Scrivano, John Woodhouse, che da anni è fecondamente aggregato alle nostre celebrazioni. Con loro e con tutti gli altri il convegno si avvia sicuramente al più vivido successo riuscendo a segnare, secondo le nostre aspirazioni, una tappa nella critica dannunziana. È quanto ci auguriamo, fieri dell'impegno assunto in queste laboriose giornate.

Ultimo aggiornamento: