Atti del XXXIV Convegno di studio, Pescara 27 ottobre 2007
• Introduzione di Giuseppe Conte •
Scrittori italiani incontrano d'Annunzio
Sabato 27 ottobre 2007 si è svolto a Pescara presso il Mediamuseum il 34° Convegno nazionale di studi "Nove scrittori italiani incontrano d'Annunzio", promosso e organizzato dal Centro nazionale di Studi dannunzianì.
Il Convegno è stato introdotto da Giuseppe Conte del quale sono pure le conclusioni.
Esistono scrittori per scrittori, che hanno in mente soltanto il loro ambiente letterario e l'accoglienza che riserverà loro, e scrittori per il pubblico, che si rivolgono eminentemente a una vasta platea sociale, e pensano la loro opera in funzione di una forte comunicazione con essa. Sono scrittori diversi tra loro, tra i quali esiste una sorta di divisione invalicabile.
Solo in casi rarissimi le due tipologie di scrittore si ritrovano e convivono nello stesso autore, entrambi presenti e determinanti. D'Annunzio è uno scrittore che seppe come mai più nessuno dopo di lui influenzare il suo tempo, la politica, la moda, il costume. Nello stesso tempo D'Annunzio influenza gli altri scrittori, impone loro di prendere posizione rispetto a lui, entra nei versi e nelle tonalità espressive anche di quelli che lo avversano. Tutti gli autori italiani del Novecento hanno dovuto fare i conti con lui. E credo che anche quelli del secolo appena cominciato continueranno.
Sono tra quelli che hanno preso posizione su D'Annunzio in anni in cui predominava un atteggiamento censorio e minatorio. Fui accusato di dannunzianesimo, e non era un complimento, l'accusa implicava un sospetto, una ghettizzazione, una condanna ideologica.
In realtà, io ho riletto D'Annunzio e fatto riflessioni non soltanto sulla sua poesia ma anche sul suo modo di intendere la funzione del poeta.
Ho ammirato D'Annunzio non per ragioni ideologiche, ma per la sua idea di poesia che può ancora riprendere a creare mito. Per il suo darsi come mythmaker, ultimo nella nostra letteratura. Per mito intendo una forma di racconto pre-logico, che viene prima della storia, ma che è tuttavia una forma di conoscenza e che agisce nella storia stessa come elemento di liberazione e di ribellione.
Ho ammirato inoltre il Comandante a Fiume, e ho avuto il coraggio di dirlo. Nessuno ne sa niente, e D'Annunzio viene liquidato come un precursore del fascismo. Non è così. La Carta del Carnaro, la costituzione Fiume, fu scritta con Alceste De Ambris, che fu un sindacalista di sinistra, e rappresenta una utopia ancora da leggere di democrazia partecipata, libertaria, tesa a creare bellezza.
Da ligure, mi sono formato sui liguri come Sbarbaro e Montale. Soprattutto il Montale degli Ossi di seppia, che reagisce a D'Annunzio come pensiero e visione delle cose ma filtra nei suoi versi una riconoscibile, residua musica dannunziana.
Ma la reazione più radicale a D'Annunzio è Camillo Sbarbaro. Soltanto pochi anni dopo Maia, il più grande tentativo di rimitologizzare e reincantare il mondo, Sbarbaro scrive che "perduta ha la sua voce / la sirena del mondo". E' un verso celebre della prima poesia di Pianissimo. Tutto l'universo panico e mitologico di D'Annunzio era azzerato. E tutto il Novecento ha giocato con questo azzeramento terribile.
Alla fine del Novecento, io ho cominciato a scrivere dopo aver attraversato il silenzio, il buio, il deserto, per riprendere a produrre mito e incanto. Senza fuggire dalla tragicità e dai problemi più impellenti del mio tempo.
Mi interessa il D'Annunzio internazionale, a suo agio a Parigi e sulle pagine del Los Angeles Times, il D'Annunzio sperimentatore, che passa dalla poesia al romanzo al dramma all'articolo di giornale, e infine all'azione.
Siccome il tema di questo convegno è D'Annunzio e gli scrittori, vorrei lasciare da parte i miei rapporti personali con lui, e dare la parola ad altri autori. Il rapporto della maggior parte degli scrittori italiani con D'Annunzio è stato difficile, carente, infelice, inesistente per tanti anni. Ricordo Mario Soldati, il grande romanziere, per me il massimo prosatore del Novecento, con il quale ho avuto la fortuna di essere amico, che spesso manifestava insofferenza verso D'Annunzio come verso D. H. Lawrence. Urlava i suoi giudizi sapendo che non li condividevo, dunque li urlava ancora più forte. Soltanto un giorno difese D'Annunzio e mostrò di apprezzarlo. Quando ricordò che D'Annunzio a Fiume aveva difeso e protetto gli omosessuali. In effetti, a Fiume il Comandante, nonostante il titolo, non sposò mai una logica militaresca, e infatti, unico Comandante militare nella storia, non fece fucilare i disertori. Non sono due buone ragioni per ricordarlo con simpatia?
Un autore di una generazione seguente che invece lesse e capì e apprezzò D'Annunzio fu Alberto Arbasino. C'è un suo saggio in Sessanta posizioni, un libro degli anni Sessanta, particolarmente importante.
Arbasino parte dall'idea che D'Annunzio mette d'accordo esigenze popolari e esigenze intellettuali. Scrive: è chic ed è kitsch. E' intimamente italiano in questo far coincidere esigenze di questo tipo, un po' come Puccini, la cui Tosca può piacere all'intellettuale raffinato come alla più umile massaia. Ma la parte nuova della tesi di Arbasino è che D'Annunzio non fugge dalla sua realtà e neppure la mistifica, piuttosto prende e fa sue tematiche proprie di un contesto socio culturale italiano, tipicamente italiano, e le mette in sintonia con entusiasmi generazionali internazionali. E' un autore che fa pressione sulla propria epoca, la riproduce, la reinventa. E diventa lui stesso un fenomeno tipicamente italiano della sua età. Tanto che, aggiunge Arbasino, ignorare D'Annunzio è limitante e impossibile per chi lavora in Italia, come ignorare il Rinascimento o il Vaticano.
Certo, gli ideali di D'Annunzio appaiono megalomani, anacronistici, disperati a Arbasino. Voleva ricostruire la magnificenza principesca della tradizione italiana. Ideale che ha qualcosa di disperato, ma, non si può negare, qualcosa di nobile. Come non si può negare il respiro internazionale di D'Annunzio. Musicisti e architetti come Scriabin e come Gaudì partecipano della temperie stilistica e emozionale in cui lui viveva.
Per concludere. D'Annunzio sembrava il cadavere eccellente nell'armadio del Novecento. Ma noi vediamo che invece oggi è ben vivo, agisce ancora, è ancora da rileggere e da rilanciare.